Siamo abituati a parlare e a leggere sulla casa su misura intendendo l'abitazione come qualcosa che deve essere sagomato, modellato, insomma progettato, come se fosse un abito su misura dei committenti rispecchiandone la personalità adeguandosi ai suoi interessi ed abitudini. E tutto questo è verissimo. Confermo in pieno. Di tutti i progetti che ho realizzato non ce n'è uno che somigli ad un altro. Ogni volta mi trovo alle prese con personalità completamente differenti e a progettare spazi con caratteristiche proprie ed uniche.
Ovviamente nel momento in cui progetto uno spazio su misura esso rappresenta il committente. Lo spazio è il riflesso esteriore della sua personalità o forse, più correttamente, dell'idea che ha di sé. Ci saranno case minimaliste, case massimaliste, case con accenti più romantici, e così via.
Nell'ultimo anno mi è successo anche di prendere coscienza di un diverso aspetto dell'abitare. Può succedere infatti che la casa non sia più la manifestazione della personalità di chi la abita ma che diventi l'esternalizzazione del suo stato d'animo, del suo malessere.
Non sono uno psicologo ma ritengo che lo stato d'animo e la personalità siano due cose differenti. Una persona, per quanto socievole e gioiosa, nel momento in cui soffre (per svariate cause e questo fa parte della vita) reagisce a suo modo e a volte, purtroppo, lasciandosi andare. Se quest'ultima reazione a volte riguarda l'aspetto fisico della persona a volte invece può riguardare la casa facendola diventare la rappresentazione delle proprie emozioni.
Come accennato qualche rigo prima è proprio nell'ultimo anno che ho preso coscienza di quest'altro aspetto, lavorando ad un cantiere in uno stabile d'epoca e spesso mi capitava d'incontrare la proprietaria di uno degli appartamenti che si affacciano sul cortile al piano terra. Questa donna dall'animo gentile veniva additata dagli altri condomini come la signora "alla quale manca qualche rotella".
Purtroppo, nella nostra società, è sempre più frequente giudicare le persone e credo anche più facile perché il giudizio crea la distanza e la distanza ci autorizza a non occuparci del prossimo. E' capitato dunque un giorno che entrassi a casa della signora gentile. Mi sono trovata di fronte ad uno scenario che ricordava tanto quello delle trasmissioni sugli accumulatori seriali.
In quell'appartamento vi era molto più di quello che normalmente potrebbe essere definito disordine. Sembrava un accampamento. Parlando con la signora gentile si è rivelata una poetessa (ma non poteva essere altrimenti), una donna colta e attiva sul piano sociale che si dedica al prossimo con attività di volontariato.
Ma è emerso anche un suo grande dolore che l'ha portata all'abbandono della casa. Non saprei spiegare da un punto di vista psicologico quali dinamiche si inneschino per indurre una persona a reagire in questo modo. Il dolore fa sentire soli, piccoli, impotenti ed abbandonati a se stessi. Credo che si sia innescato un meccanismo di transfert dall'inconscio della signora gentile alla casa.
Parlando con la signora gentile le ho espresso la mia sensazione. Le ho detto che sembrava che in quella casa fosse accampata, non che vi vivesse. La sua casa non rifletteva la sua personalità ma il suo dolore. Da quel giorno la signora gentile ha ricominciato a mettere ordine nella sua casa. Ha eliminato tutto il superfluo. Ha tinteggiato ma soprattutto a cominciato a reagire.
Oggi, a distanza di diversi mesi, tutto è tornato alla normalità e la signora gentile vive in appartamento rifiorito esattamente come lei. Probabilmente se i vicini di casa si fossero fermati a parlare con lei e a darle conforto tutto questo non sarebbe neanche successo o comunque il sentire la vicinanza del prossimo le avrebbe dato la forza per reagire prima.
Tutto questo insegna che una casa non sono le mura e gli arredi ma molto di più.